Ripetere continuamente questo pronome vuol dire essere pieni di sé. Ma non fare attenzione all’io significa non costruirsi una personalità, non prendersi cura di sé, non avere attenzione per sé. Ai fidanzati dico che diversi matrimoni finiscono presto perché si sposano non due personalità mature, ma due molluschi che non possono stare in piedi, perché si scivolano addosso. Per arrivare a sposarsi bisogna essere capaci di stare da soli, per evitare di chiedere soltanto senza essere pronti a dare. C’è una bellissima poesia di Gibran (poeta libanese) che sottolinea come la quercia e il cipresso non possono crescere una all’ombra dell’altro, perché una si fermerebbe sotto i primi rami dell’altro, mentre se stanno distanti quanto basta possono crescere fino a diventare entrambe significative. Purtroppo da decenni tutte le agenzie educative hanno trascurato la costruzione della personalità a favore della socializzazione. L’invasione dei social ha completato l’opera: conoscete un ragazzo o un adolescente che sappia stare da solo con sé stesso, più semplicemente che sappia fare silenzio?
Amare sé stessi. Nel Vangelo questa indicazione è data a chiare lettere: ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’. Si parte dall’amore per sé stessi che diventa parametro di tutto il resto. Tante volte noi scarichiamo sugli altri responsabilità, incomprensioni, disagi: in realtà sono io che non sto bene con me stesso e quindi trovo, qualche volta invento, scuse colpevolizzando gli altri. Silenzio, sacrificio, scelte impegnative, senso della fatica (non solo nello sport), voglia di approfondire, dedizione alle persone, servizio verso chi ha bisogno: sono alcuni degli atteggiamenti che contribuiscono alla crescita della personalità, alla valorizzazione dell’io, a diventare uomini e donne veri, capaci di fare i conti con la vita.
Famiglia, gruppo classe, amici, colleghi di lavoro, il mondo: tutto ci aiuta a capire che siamo fatti per stare insieme, per essere un ‘noi’. E questo è ancora più difficile, perché la mancata costruzione di personalità porta a ripiegarsi egoisticamente su sé stessi, a non vedere al di là del proprio naso, a pensare di essere l’ombelico del mondo. L’idea che abbiamo bisogno gli uni degli altri non ci attraversa, gli altri sono visti sempre come un ostacolo, non come persone con cui costruire insieme. Il senso di appartenenza sopravvive solo a livello sportivo. Il ‘noi’ nasce da rapporti di amicizia veri, dal saper guardare gli altri come fratelli (ah, se l’esortazione di papa Francesco intitolata ‘Fratelli tutti’ fosse letta, capita e tradotta in vita vissuta!). Il ‘noi’ sottolinea che abbiamo bisogno gli uni degli altri per la vita di tutti i giorni e per realizzare grandi progetti che da soli siamo impossibilitati a tradurre in realtà. L’egoismo, l’arroganza, la presunzione, il giudizio facile (e pesante) sugli altri ci impediscono di costruire questo ‘noi’ che sarebbe rasserenante e ci aiuterebbe a vivere meglio. Forse anche questi due anni
di covid, chiedendoci di difenderci dagli altri, non ci hanno aiutato molto. Evitiamo almeno in questo campo che ci sia l’effetto long-covid.
Sì, è vero che siamo nani che camminano sulle spalle di giganti, ma nessuno é esonerato dal fare questo cammino di crescita (dall’io al noi) indispensabile per sé stesso e utilissimo per tutti. Questo è il lavorio indispensabile per crescere. I primi 40 anni della Festa Patronale della Madonna del Rosario sono stati un piccolo contributo in questa direzione. La scelta è di voler continuare a vivere questo impegno così che ogni evento, ogni iniziativa, ogni proposta, ogni dibattito sia un tassello verso questa costruzione del ’noi’ dove ogni ‘io’ possa realizzare sé stesso.
Due anni senza festa. Chi l’avrebbe mai detto?
La scelta di fermarne l’organizzazione è stata scontata due anni fa, saggia l’anno scorso: proprio quando stavamo ripartendo con il comitato, si era a fatica avviata la macchina delle vaccinazioni ed era comparsa la variante delta del Covid. A maggior ragione, dopo questo stop, ci eravamo ripromessi una grande edizione della Festa: finalmente riusciremo a celebrare il 40° anniversario e a far riappropriare i cesanesi di questo patrimonio della comunità. È innegabile che la pandemia, per via delle restrizioni, della cautela e delle paure, e pure di una comodità domestica che abbiamo riscoperto, ci ha consegnato una nuova normalità. Per tanti ha drasticamente compresso la sfera delle relazioni: nei casi più gravi ha condotto ad una profonda solitudine e per alcuni, penso a tanti giovani, a uno smarrimento che ha tratti esistenziali. Se a rimetterci è stata la socialità, tocchiamo anche con mano che in quest’ambito a patire le conseguenze più marcate è stato senza dubbio l’impegno, nelle sue varie manifestazioni, dalle associazioni al volontariato, dal frequentare luoghi di cultura alla politica locale.
Se siamo sinceri, però, proprio la pandemia ha mostrato il fallimento dell’individualismo, la fragilità e non il successo dell’io isolato, la necessità di relazioni, di incontri, di essere aiutati e di aiutare gli altri, l’urgenza anche di organizzare la società per affrontare sfide comuni.
Abbiamo l’esigenza di stare insieme. Di ritrovarci, di condividere. Di creare rapporti e pure di divertirci. Non curerà certo tutti i nostri malanni, ma nel nostro cammino la festa è momento di luce. E parafrasando il titolo dell’ultima edizione, “è tempo di esserci”.
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